SONIA
Ecco quanto diceva di sé Sonia in una lettera a TELETHON scritta nel dicembre 1998:
Poco dopo iniziarono a formarsi bolle e lacerazioni in tutto il corpo. Oggi è possibile effettuare una diagnosi prenatale, attraverso l’analisi del DNA fetale nella fase gestazionale, dalla nona all’undicesima settimana. I medici che mi visitarono allora dissero ai miei genitori che non avrei superato i quattro giorni di vita, tanto ero piccola e tante erano le perdite dalle lacerazioni; ma devo ringraziare quei giovani medici della Pediatria “Regina Elena” di Milano che, pur sapendo poco a riguardo, mi hanno salvata con la loro forza e il loro amore. Purtroppo oggi, invece, il rapporto con alcuni dottori manca di dialogo. Nonostante tutti questi anni trascorsi fra un’emergenza e l’altra, sono ancora all’oscuro sul tipo di soccorso necessario per la mia patologia.
Per quanto concerne il disagio dei genitori, posso dire che sono stata fortunata, dal momento che loro stessi, pur vedendosi crollare il mondo addosso, hanno saputo accettarmi e reagire in modo stupefacente, sostenendomi, o meglio sostenendoci a vicenda. Alla mia nascita i miei genitori si trovarono spiazzati, in quanto passarono dalla gioia immensa di avere una figlia all’atroce scoperta che questa figlia era affetta da un male allora ancora più sconosciuto e credettero che il mio fosse l’unico caso esistente. Non si fermarono però a compiangersi: mia madre subito si cimentò nell’imparare a medicarmi, dal momento che noi affetti da EB ogni giorno dobbiamo sopportare una dolorosissima e stremante medicazione su tutto il corpo.
Quindi, man mano che crescevo, le mie giornate tipo iniziavano con la sveglia alle 6.00 per essere pronta per 1’orario di inizio scuola, dal momento che ci volevano due ore di medicazione; poi, la maggior parte delle volte, andavo a scuola senza poter bere nemmeno un goccio di latte, a causa della stenosi all’esofago, cioè di una chiusura che mi impedisce di deglutire, o anche a causa delle bolle che si formano sulle mucose interne.
Dopo tutte queste peripezie, la mamma mi accompagnava a scuola. Io ho potuto affrontare la malattia in modo totalmente sereno: nella mia crescita ho capito da sola e con l’aiuto di mia madre che qualcosa era diverso in me e, grazie ai miei genitori che hanno saputo accettarmi, hoinstaurato rapporti sereni con gli altri bambini. Se loro mi facevano domande, rispondevo semplicemente, dicendo che non c’era alcun pericolo per loro, ma che nel giocare avrebbero dovuto fare maggior attenzione a non spingermi facendomi cadere, altrimenti mi sarei fatta male.
Ho un ricordo divertente riguardo alla mia infanzia: quando giocavo con i compagni a scuola, o a casa con i cugini, se nella foga del gioco mi capitava di ferirmi, io ero la prima a difendere il bimbo con cui giocavo, perché sapevo che sarebbe stato sgridato e che avrei perso un compagno di giochi, dal momento che da lì in poi sarebbe stato tenuto alla larga da me. Sapevo che era stato un incidente, come succede a tanti bambini di farsi male durante il gioco.Sicuramente fino ad oggi io e la mia famiglia abbiamo subito grossi traumi , come quello della distrofia che chiudeva le mie dita all’interno della pelle che si chiudeva come un guscio. Già da piccola dovetti affrontare le prime operazioni alle mani, per poter tornare ad averne l’uso.
Quasi subito cominciai anche ad avere problemi con gli arti inferiori,in quanto, sempre a causa della distrofia, i miei piedi iniziarono a curvarsi verso l’interno, fino ad impedirmi di camminare. La più recente operazione a cui mi sono sottoposta è stata la dilatazione dell’esofago, dove, come dicevo prima, si crea una stenosi, o “strettoia”, che mi impedisce di deglutire. Nel proseguo della mia crescita, sono arrivata ad oggi e la mia giornata tipo è una giornata pesante, in quanto la medicazione ora dura dalle tre ore e mezza alle quattro ore; poi ci sono i corsi all’università, la difficoltà nel nutrirmi. A volte le bolle che si formano nell’esofago mi costringono a restare a digiuno anche per due giorni di seguito, costringendomi ad effettuare un nutrimento attraverso flebo. Infine, se mi resta del tempo, mi dedico ai miei passatempi preferiti.Nonostante tutto questo, posso dire di sentirmi soddisfatta della vita che ho vissuta fino ad ora, perché i miei genitori hanno saputo farmi apprezzare ogni istante della mia esistenza; gliene sono infinitamente grata, perché così ho imparato a guardare avanti. Tutti quelli che mi conoscono si meravigliano di come io possa fare dello spirito su tutte le disavventure che mi capitano, ma io credo che, una volta superato l’ostacolo e che tutto è andato bene, ci si possa anche scherzare su.
Certo, ho dovuto rinunciare a molte cose, ma nel mio cassetto ci sono due sogni che spero si possano realizzare un giorno. Uno riguarda tutti noi affetti da EB: desidererei si riuscisse a realizzare uno spot che informi l’opinione pubblica, dal momento che ne ho visti molti all’estero. Qui, in Italia, la malattia è ancora troppo sconosciuta ed ignorata e, quindi, spero si possa realizzare al più presto. L’altro sogno è personale; desidererei poter passare qualche ora con il mio cantante preferito, Renato Zero, del quale amo molto le canzoni, o “poesie”, come io preferisco definirle. Attraverso i suoi testi percepisco una grande sensibilità. Immagino che mi sarà molto difficile arrivare a conoscerlo, ma spero che anche questo si realizzi.
Del resto la vita mi ha negato tante soddisfazioni, diventate sogni per me, mentre per chi è sano sono cose facilmente raggiungibili.Mi piacerebbe che in un prossimo futuro l’EB fosse una malattia del passato, ma ora, per quanto possa contare la mia esperienza, vorrei dire a quei genitori che hanno avuto la sfortuna di trovarsi davanti a questa terribile patologia di accettare la situazione con coraggio e forza d’animo, anche se so che è difficile. Sono certa, infatti, che il bimbo, pur essendo nei primi mesi di vita, percepisce l’eventuale disagio e ansietà trasmessi dai suoi genitori: tutto ciò può causare, durante la crescita, maggiori difficoltà nell’affrontare la malattia e, di conseguenza, l’inserimento nella vita sociale. Ringraziando per l’interesse dimostratoci, porgo cordiali saluti.
Sonia